Come una tela

Non ci avevo mai pensato. Davvero. Come quando sei lì che ogni sera fai una pennellata su una tela, al buio, e poi dopo un mese accendi la luce e scopri un disegno. Baffo dopo baffo, nero su bianco si compone qualcosa che ha senso. Riconoscibile. Però devi accendere la luce. Fare un passo indietro. E poi apprezzare.

Ho realizzato di vivere di manie totalizzanti e assolute che durano manciate di giorni, mesi, anni. Iniziano senza un motivo. Diventano ossessive. Muoiono improvvisamente. Il giorno in cui decido che mi hanno nauseato, stufato, consumato.

La mia vita è una ondata di manie cicliche monotematiche che nascono, vivono, collassano, vengono sepolte senza lacrime, sotto terra e infine dimenticate.

Strano per una che pensa di essere razionale e coi piedi per terra. Curioso che non l’abbia mai notato. Mi è stato detto da qualcuno che mi conosce bene. Ed è stata una rivelazione, una cazzo di epifania che Freud manco a Natale. Una pietra scagliata al mio finestrino, che mi ha svegliato temporaneamente dal torpore, mentre sono in viaggio su questo treno a vapore.

Poi mi sono seduta e ho cercato di ricordare a ritroso che cosa mi aveva assorbito per giorni. Come lo scottex con la frittura di pesce. Che non la faccio mai. Perché non la digerisco. Perché odio l’unto sul gas. Avevo visto che la suocera di mia sorella ricopriva il piano di cottura con la carta stagnola. L’avevo considerata una pura genialità. Ma l’alluminio è caro e quello è uno spreco inconcepibile per me, per cui non ho mai neppure provato.

E sai di cosa sto parlando? Di cose assurde, che mi chiedo come mi abbiano catalizzato per ore e ore: Pet Society, Battle Solitaire, Wordon, Bloglovin, Facebook, Instagram, WordPress. Ma non solo. Si, l’ultima è proprio WP, per cui se un giorno non mi vedrai più, ecco, qui ti spiego come funziona il mio cervello. Che assomiglia molto a quello di mio padre. Ed io che pensavo di essere diversa, mentre più invecchio, più tendo a specchiarmi nello stesso riflesso.

WORDON COME BADOO

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Ho passato un anno e mezzo a giocare a un’app tipo scarabeo. Mi piaceva perché era un gioco riflessivo sulla composizione di parole con le lettere, però poteva essere anche frenetico e autodistruttivo, un po’ come me, a volte.
Devo ammettere che mi sono avvicinata molto candidamente, senza secondi fini. Ci giocavo nei ritagli di tempo.
L’account era veramente ai minimi termini, una fotina di 1,5 cm e un nickname. Niente geolocalizzazione, niente età, o gusti sessuali.
Insomma un posto proprio tranquillo, apparentemente. Molto lontano da Badoo o troiai simili, luoghi che ho sempre fuggito come la peste. Aveva solo una cosa, a cui all’inizio non feci neppure troppo caso: la chat. Una chat spoglia, quattro mura anonime, con sfondo blu, in cui spesso dovevi riavviare per leggere il messaggio successivo. Insomma, tutto tranne che un posto confortevole per fare due chiacchere.
Ci ho fatto il migliore sesso digitale della mia vita, anche forse perché è stato il primo. Inconsapevole, diretto, inaspettato. Dopo giorni di gioco abbiamo iniziato a parlare il pomeriggio e la sera gli stavo infilando due dita nel culo.
C’erano delle regole di scrittura non scritte che rispettavamo senza averle mai condivise che ci facevano godere, tanto. Frasi cortissime. I particolari. L’inesistenza dei puntini di sospensione. Le pause. So che tutto ciò sembrerà banale, ma all’epoca era stato travolgente, come per una bambina in un negozio di dolciumi, ed era solo virtuale. Poi passammo alle foto, ai video, alla voce e tutto il resto che degenerò alla velocità della luce.
Oltre a lui ovviamente si inserirono altri personaggi, gente di ogni genere: gentili, pazienti, stronzi, esagerati, servili. C’era veramente di tutto. Età media, direi tra i 40 e i 50, sia donne che uomini, purtroppo neanche una bisex, oppure sono stata io sfigata che non ne ho mai trovata una. Molto targhetizzato, ma tutti con una gran voglia di scopare. Se fossi stato un imprenditore di sexy toys avrei fatto carte false per metterci la pubblicità. Mentre invece quei coglioni degli amministratori mettevano pubblicità inutili di altri giochi. Gli avrei fatto una pianificazione media con i contro cazzi, vabbè.
Comunque, tornando a me c’erano dei giorni in cui giocavo con 40 persone contemporaneamente. Era diventata una droga. Ora, che è passato parecchio tempo, sono diventata più sgamata e consapevole, ma allora è stata dura. Io che non fumo neanche, avevo bisogno di disintossicarmi da quel mondo assurdo. Ne sono uscita bene, dall’oggi al domani ho chiuso, anche grazie a un amico che mi ha aiutato, e che poi ho incontrato anche dal vero. E ad amiche che non ho mai visto ma con cui continuo a sentirmi.
Ora non è che sia diventata casa e chiesa, per carità, ho solo cambiato bottiglia e ho fatto tesoro dell’esperienza vissuta.