Ripetizioni

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Le cose belle finiscono da sole.

Come neve al sole si sciolgono, fanno dei giri immensi e poi ritornano.

Le cose belle finiscono da sole, che non c’è bisogno che ti sforzi, ti impegni, sbatti la testa, ti impunti, imponendoti di smettere. Un giorno ti svegli e ti chiedi come cazzo è possibile che avevi la testa solo lì.

Perché l’amore ti frega. Hai una visione distorta, diventi testardo, hai il paraocchi, come quei cavalli con lo sguardo triste che ti guardano e sembra che dicano: vorrei non essere qui. O almeno più qui.

Le cose belle finiscono da sole e te lo devi sempre ricordare, se fossi una tipa da tatuaggio saprei che farci di questa frase, scolpita nella mente e anche nel cuore.

Le cose belle finiscono da sole. Non ti annoiare, ti prego, chissà se ha senso la mia ripetizione ossessiva e al tempo stesso la mia preghiera. Forse niente ha senso e ci son giganti che abitano ‘sto microscopico mondo e noi siam formiche nell’universo tutto.

Le cose belle finiscono da sole e tu ti volti e non trovi più nulla. Avevo creduto in qualcosa che non aveva senso, ma in quel momento ti pareva la scelta più razionale e ponderata della tua vita. La descrizione di un attimo.

Che se mi chiedi la canzone del momento, ti dico ‘Vorrei ma non posto’ e tutto il resto scorre, come acqua fresca sotto i ponti.

E mi ritrovo a scegliere una collana di fiori variopinti di evidente origine sintetica e prepararmi per la parata del gay pride. Perché è importate esserci, perché i diritti sono di tutti, perché credo davvero che il mondo possa cambiare. E basta un po’ di musica, i sorrisi spontanei, il desiderio di condividere con gli altri lo stesso ideale, la medesima maglietta prestampata che recita “Il domani ci appartiene”, la presenza dei bambini, la mia coroncina di fiori tra i capelli, il sindaco, l’opposizione e la banda comunale per essere certi che forse davvero il mondo sta cambiando e noi ci siamo dentro e se le cose belle finiscono da sole, altre ne nasceranno. Stanne cert@. [un minuto di silenzio per la strage di Orlando]

Tutto su mio padre 

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Dopo parecchi mesi è tornato mio padre. Per pochi giorni, reunion di famiglia. Siamo sparsi per il globo: è davvero raro avere tutti insieme. Riempie il cuore, ma distrugge gli equilibri, sfasa il nostro umore, così in bilico, così incerto.

La notizia del suo arrivo ci sconvolge nel profondo. Tutti, nessuno escluso.

Lui è quello che a 70 anni prende l’aereo low cost e torna con Bla Bla car, che prepara 2 kg di pasta e un canister di ragù fatto con i pelati messi via da lui l’estate prima, scegliendo personalmente la fornitura di pomodori, raccolti nel campo adiacente al mare, che così sono già salati e genuini. Che prepara sei teglie di melanzane alla parmigiana, si fa tirare su quando si siede in poltrona e ci sprofonda letteralmente, che ci chiede un bacio e ci domanda se siamo ancora le sue bambine. Che ti chiede come va, ma quando inizi a raccontare si stufa e si mette a fare altro. Che se piangi quando se ne va, si gira dall’altra parte. Così sfuggente e così preciso, così tirchio e così generoso.

Che nasconde il portafoglio sotto il cuscino, che ti sporge di soppiatto la busta con 50 euro.

Che si incazza perché si mangia quando decide lui, che al telefono non puoi rispondere quando guidi che non sente nulla, ma poi lui chiama col viva voce e allora sei tu che non capisci, che compra un finto bonsai di fico a 10 euro. Come cazzo può resistere a casa mia una forma vivente di quel genere? Così bella, così impegnativa.

Che ti infila un libro di Saramago nella libreria, senza dirti nulla, che non si fa sentire per giorni, ma quando noi tutti prendiamo un aereo, nella chat comune fa la radiocronaca del volo minuto per minuto, con screenshot della posizione dell’aeromobile  che neanche lavorasse alla torre di controllo.

Che riconosco da lontano, solo accostando l’orecchio, i suoi passi pesanti, che calcano le piastrelle di questa casa bambina, anche lei invecchiata, come tutti noi. Che sarebbe meglio venderla, ma poi nessuno lo fa.

Che i ricordi sono sempre sovrastimati ed ora sono qui ad ascoltare un concerto improvvisato, in mezzo alla strada, in mezzo al fiume, in mezzo al baratro in cui mi trovo e non voglio voltarmi indietro e non voglio affrontare il mio vaso di Pandora, perché se scosto il tappo sono fottuta.