La juta e il bambù 

 mango 
Non scherzi più, lo capisco dal tuo sguardo severo, da come muovi il corpo, dal respiro che si fa controllato, con un lieve sussulto. Basta poco per capire che hai cambiato atteggiamento. 

Muovi le mani con fermezza, mi immobilizzi le gambe e impugni le strisce intrecciate di juta, facendole passare sul mio corpo con trasporto e sapienza. Sento il rumore dello sfregamento, come le vele esposte al vento, quando andiamo in barca.

Ed io, quando capisco che stiamo entrando in questa dimensione, mi lascio andare completamente: chiudo gli occhi, abbandono le membra, rallento il respiro. 

Shhhh.

Mi prendi, mi strattoni, mi fai anche un pò male, mi pizzichi per sbaglio un pezzo di pelle, mi avvolgi, mi sposti facendo leva con le corde, mi ingabbi, mi spingi, mi schiacci. Io non ho più una volontà, sono in tua balìa, mi sono arresa da subito.

Non so mai cosa vuoi fare e questa insicurezza, per una così caparbia e sicura, mi eccita.

Mi stringi a te, un pò mi baci, un pò mi torturi, con tutti i sensi.

Sono costretta da questi sottili serpenti di juta, sento il tuo respiro che si fa rumoroso, mentre inverti la direzione della corda e quando sembra che tu abbia finito, impugni la canna di bambù e inizi a batterla per terra, sul pavimento di legno che sa di cera fusa. 

Tac tac tac.

Rimbomba l’eco per tutta la stanza ed io forse so cosa sta per succedere, almeno lo immagino. Da un momento all’altro mi colpirai, proprio quando avrò pensato che questa volta non lo farai più. 

Godi così ed io con te. 

Poi improvvisamente ti stufi, ti piazzi dietro di me e con la canna di bambù mi tocchi, mi frughi, mi respiri il collo. Sento il tuo naso tra i miei capelli, il calore del tuo alito sulle spalle e al tempo stesso il gelo del fusto, che muovi con intensità variabile, senza neanche guardare. Sai come dirigerlo. Sei come un maestro d’orchestra, con gli occhi chiusi segui una musica interiore e muovi la canna che pare una bacchetta.

E il gioco prosegue, un gioco consenziente, silenzioso e tutta la stanza è colma di parole d’amore.

La prima corda

  
Abbiamo ricevuto l’indirizzo del laboratorio via sms, unito ad una parola in codice da pronunciare al citofono. Quel misto di imbarazzo ed eccitazione, che conosco bene, tipico della timida, quale sono.

Indosso jeans scuri attillati, con la cerniera in vista, tacchi e un semplice pull. Rossetto fuoco d’ordinanza.

Entro fingendo sicurezza, con lo sguardo fiero, squadrando con la coda dell’occhio gli altri ospiti. Mi sento osservata e mi nascondo dietro lo schermo del “Sono i nuovi, i nuovi del giro”.

Seduti sul divanetto, mi guardo intorno, ci sono già quattro o cinque coppie che hanno iniziato. È una cerimonia curiosa, in cui gli uomini sono concentrati, uno addirittura con la lingua che sporge di lato, a voler dimostrare tecnica e precisione. Le donne reagiscono diversamente, c’è quella che controlla i movimenti di lui, c’è la ragazza giovane, senza reggiseno, c’è quella più formosa che non nasconde un tanga nero, fuori concorso e dei capezzoli che gridano attenzione, spesso con gli occhi socchiusi.

Il mio sguardo cerca tra gli uomini in sala, per capire chi può essere quello giusto a cui offrirmi. Alla fine scelgo il proprietario del laboratorio, perché deve essere esperto e poi perché decisamente brutto, con in testa la delicatezza di non far ingelosire il mio accompagnatore. E quindi inizio l’approccio:

Lo faresti con me?

E lui: ora no, più tardi.

Ammetto un po’ di delusione, ma alla fine è la mia prima volta e forse non è così divertente avere a che fare con una principiante, per cui torno sul mio divanetto a godere degli occhi e a fremere di desiderio.

Poi ecco arrivare loro, non belli, ma decisamente attraenti, esperti, sinuosi. Esibizionisti, tanto che poi ci confidano di fare spettacoli insieme, nei privè in città.

E tu, mio accompagnatore mi offri a lui. Così, all’improvviso, ed io sono imbarazzata, perché sento la carica erotica che emanano. Ma loro tergiversano, lui dissimula. Per cui incasso ancora una volta un rifiuto. 

Dopo una piccola performance si avvicinano a noi. Ci chiedono chi siamo, cosa cerchiamo. Chi vuole nella coppia dominare. E si stupiscono, ogni volta della mia timida e ferma risposta. Sono io che ho deciso di venire qui, sono io che voglio legare, ma anche essere legata. Sono switch. Quella parola cristallina, accende i loro animi e lui mi prende per mano e mi accompagna sul palco.

Ti piace stare a testa in giù?

Si, mi piace. Portami fino in fondo. Sono qua per questo.

E inizia a legarmi stretta le mani dietro la schiena, a passarmi le corde sotto il seno, ad avvolgermi come un abbraccio le caviglie, le gambe, il pube, le cosce. Inginocchiato davanti a me, col petto scoperto, le bretelle e un piccolo corno al collo. Coi capelli raccolti, il tatoo e quelle mani sapienti, di dominatore professionista. 

Ed io chiudo gli occhi, mi concentro sul rumore della corda, sulle sue mani, sul suo fiato. Sulla sospensione: miei arti che piano, piano si muovono senza la mia volontà, mentre mi solleva, mi gira, mi capovolge completamente, mi divarica, mi fa ruotare su me stessa.

È una sensazione meravigliosa, completa, a lungo agognata. Sono eccitata, sono osservata da tutti i presenti, che in silenzio religioso partecipano al mio piacere.