Dopo parecchi mesi è tornato mio padre. Per pochi giorni, reunion di famiglia. Siamo sparsi per il globo: è davvero raro avere tutti insieme. Riempie il cuore, ma distrugge gli equilibri, sfasa il nostro umore, così in bilico, così incerto.
La notizia del suo arrivo ci sconvolge nel profondo. Tutti, nessuno escluso.
Lui è quello che a 70 anni prende l’aereo low cost e torna con Bla Bla car, che prepara 2 kg di pasta e un canister di ragù fatto con i pelati messi via da lui l’estate prima, scegliendo personalmente la fornitura di pomodori, raccolti nel campo adiacente al mare, che così sono già salati e genuini. Che prepara sei teglie di melanzane alla parmigiana, si fa tirare su quando si siede in poltrona e ci sprofonda letteralmente, che ci chiede un bacio e ci domanda se siamo ancora le sue bambine. Che ti chiede come va, ma quando inizi a raccontare si stufa e si mette a fare altro. Che se piangi quando se ne va, si gira dall’altra parte. Così sfuggente e così preciso, così tirchio e così generoso.
Che nasconde il portafoglio sotto il cuscino, che ti sporge di soppiatto la busta con 50 euro.
Che si incazza perché si mangia quando decide lui, che al telefono non puoi rispondere quando guidi che non sente nulla, ma poi lui chiama col viva voce e allora sei tu che non capisci, che compra un finto bonsai di fico a 10 euro. Come cazzo può resistere a casa mia una forma vivente di quel genere? Così bella, così impegnativa.
Che ti infila un libro di Saramago nella libreria, senza dirti nulla, che non si fa sentire per giorni, ma quando noi tutti prendiamo un aereo, nella chat comune fa la radiocronaca del volo minuto per minuto, con screenshot della posizione dell’aeromobile che neanche lavorasse alla torre di controllo.
Che riconosco da lontano, solo accostando l’orecchio, i suoi passi pesanti, che calcano le piastrelle di questa casa bambina, anche lei invecchiata, come tutti noi. Che sarebbe meglio venderla, ma poi nessuno lo fa.
Che i ricordi sono sempre sovrastimati ed ora sono qui ad ascoltare un concerto improvvisato, in mezzo alla strada, in mezzo al fiume, in mezzo al baratro in cui mi trovo e non voglio voltarmi indietro e non voglio affrontare il mio vaso di Pandora, perché se scosto il tappo sono fottuta.
Perchè anche se sono così diversi da noi, anche se vogliamo essere così diversi, ce li portiamo dentro. A volte mi chiedo quanto ci sia dentro di me di mia madre e di mio padre. Che io giudico così diversi, così distanti.Ma che mi hanno cresciuto e in qualche modo forgiato. Sono parte di quello che siamo, non possiamo evitarlo.
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Certi vasi è meglio lasciarli chiusi
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Sigillati. Testa nella sabbia. La metafora mi piace sempre.
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Sono parte di noi, di come siamo e dovremmo essere. Bellissimo racconto.
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Lo avrei voluto…
anche cosi’.
Prendi solo le cose buone
fanne ricordi bellissimi.
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Devo tenerlo a mente, dolcezza.
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Quella è una parte che mi manca. A volte mi sorprendo a pensare come sarebbe stato vederlo invecchiare, smussare gli spigoli di quel pessimo carattere che mi ha trasmesso, sentirlo più fragile, riuscire ad amarlo senza che si vergognasse.
Un bacio cara, sempre bello leggerti 😊
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_genitori: bene o male han contribuito a quello che siamo e ci hanno lasciato in mano un “testimone”, risolvere ciò che loro nn hanno risolto [nel bene e nel male]
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Posta così è parecchio impegnativa, caspita. Devo ricordami di non farlo coi miei figli.
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_chiamasi “responsabilità” 😉
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Bellissimo passaggio, più intimo di tanti altri post.
Ci ritrovo un po’ anche mio padre, nascosto tra (solo) alcune di queste righe.
Grazie
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Grazie a te, Sarina. Intimo pendo sia la parola giusta.
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Pare che riempire il cuore e distruggere gli equilibri sia quello che faccio anche io quando torno dai miei.
Il tuo babbo è un vero personaggio. Mi piace.
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Averci a che fare nella quotidianità è impossibile, a dosi contagocce si.
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certi vasi fanno male da morire !!!!
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Non dovrebbero manco fare il tappo: tutto sigillato.
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Un pezzo unicO!
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Si!
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questi genitori …. nn c’è niente da fare nella terra c’è l’albero….
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Anche il seme?
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aihmè tutto ….io quello che di loro detestavo me lo sono trovato nel mio dna
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Forse per tutti è così.
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yesss
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Che bello.
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… E io troppo poco. (ti leggo) Ma recupero volentieri.
Il padre… Caspita, “quanta roba”, come si dice. Hai alzato e chiuso il coperchio, velocemente. E ne è sgattaiolata fuori un’infinità di cose. Lingue di vento e fiamma. Credo che la dimensione, la forza del contenuto di quel vaso sia proporzionale alla capacità di avvertirla. Capacità, sì, che non è necessariamente una dote, ma sua volta un dimensione, la profondità, l’estensione della percezione, del sentire.
Il ritratto che hai fatto di quell’uomo, che è tuo padre, sangue del tuo sangue, è inciso nella tua carne, nella tua fibra. Il percorrerla, quasi in verticale, col rischio, sollevando quel coperchio, di caderci tutta dentro, ti mette le vertigini. E’ lui e ci sei tu. La tua vita ripercorsa in un rewind veloce e devastante come una combinazione di colpi che nemmeno il collo di Mike Tyson… Questo fa la quotidiana distanza (di sicurezza) e l’avvicinarsi improvviso, il pararsi di fronte del padre, del “mostro”, del ricordo, della nostalgia, dell’incapacità di essere umano, di amare, di qualcosa che odi e che manca, che odi perché ti manca…
Eppure la tentazione di sollevare il coperchio e misurarsi – forse – con il proprio demone, primo o dopo arriva. Spalle larghe, Mango. E tu ce le hai. Si vede, si legge. Su quel ring tu ci sai stare, ci sai ballare.
[Perdona la presunzione e qualsiasi mia velleità di intuizione e – dio non voglia – giudizio. Tanto mi ha ispirato il leggerti.]
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Ma che meraviglia! Grazie 😀
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