Ricetta di caipi, non è un sito di cucina questo

  

Il rientro alla normalità è una ferita al cuore, che sanguina, sanguina e non si rimargina.

Non c’è niente che guarisca, anzi forse si, ma è lontano, troppo lontano, niente di accessibile. 

L’unica cosa a portata di mano è etilico ed è come lo sbiancante per i panni, le robe, che in realtà non schiarisce, ma ricopre con un nuovo strato bianco finto. La macchia, il dolore, rimane lì, dura a morire, e dopo qualche lavaggio riaffiora con beffa. Più brutta, più grave, più feroce di prima.

La metafora al gusto di lavanderia persiste, perché ho la testa nella macchina (della lavatrice) e nessuno viene a spegnere. La centrifuga gira, gira, gira, a novanta gradi. Che non è ecologico, non è etico, non è sano. Come quando usi pertugi alternativi per risparmiare i soldi dei goldoni.

Siamo chiusi in una gabbia dorata, come un leone incattivito, con quella bella criniera, la coda, il pelo e le unghie consumate sul cemento.

Poi passa, lo so. Ma il rientro alla normalità mi annienta. La sera poi. Il mattino meglio.

E apro il frigo e piglio uno dei mille manghi che mi son portata. Li tasto tutti, li palpo, ci ritorno su, voglio scegliere il più morbido, il più maturo. Lo pelo, lentamente, cercando di ricavare dalla buccia un’unica striscia. È una scommessa con me stessa, non posso sbagliare. 

Quanti sono quelli che fanno questo gioco? Se sbaglio e taglio il serpente perdo un punto, cento, mille. Come quando cammini sulle vie di fuga delle piastrelle della casa di tua nonna. E se metti il piede nel posto sbagliato precipiti come Alice nel paese delle meraviglie. E non c’è la botticina che ti aiuta. O forse sì. Me ne preparo una.

Poi taglio la polpa e la infilo nel boccaglio del mixer, con l’Absolut Vodka, il ghiaccio tritato. Niente zucchero.

Shakero.

Verso nel bicchiere.

Il calore del liquido mi inebria, mi calma, mi avvolge. Ho i coglioni ancora girati, ma sto meglio.

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