Il dono


Era un pacchetto di carta velina rosso, tutto stropicciato. Era legato malamente con un nastrino dorato, riciclato da chissà dove. Non ero mai stata brava a incartare e il fatto di averlo messo in borsa non aveva contribuito a renderlo presentabile,  anzi.

Certo, avevo provato ad appiattirlo con le mani, piano piano, ma il risultato era che la carta si era crepata di lato.

Un disastro, insomma. Ma non sono formale e neppure tu lo sei. Mi piacciono i tuoi regali, perché sono una foto, un biglietto, una frase. Che importanza aveva la carta? Giusto la sorpresa, anche se forse intuivi già il contenuto.

Avevo preso le misure, partendo da delle proporzioni mentali che avevo memorizzato, mentre sdraiati sul letto fumavamo insieme: avevi le dita lunghe quanto il mio iPhone.

Ci tenevo al mio dono e quando decisi di posarlo sulle tue cosce ero emozionata: guardavo il tuo viso stupito e mi chiedevo se davvero eri sorpreso o simulavi amorevolmente per me.

Scartavi il regalo con cerimonia, come solo tu sai fare. Le cerimonie, le investiture ti piacciono da matti, lo so. E scoprivi i guanti di morbida pelle nera che attendevano di essere indossati.

Rappresentavano sottomissione, puro amore, dedizione e remissione. Avevo pensato a lungo a un simbolo non scontato, che ti stupisse, che ti facesse venire voglia di desiderarmi ancora, all’infinito.

Eri in blazer grigio ferro, con la cravatta allentata. Ti eri accomodato sul divano, e appoggiavi mollemente le gambe sul puff di quell’appartamento, arredato con gusto. Lo avevi scelto con cura per lo specchio. Lo specchio è essenziale, dicevi, ed era posizionato esattamente dove volevi tu.

Era presto, ma già sorseggiavi un whisky liscio, che ti avevo servito io, nuda con i tacchi.

Li indossavi. Seguivo con lo sguardo le tue mani a contatto con la morbida pelle. Erano perfettamente calzanti: la tua misura. Ora sapevo cosa sarebbe successo, ed io non aspettavo altro. A un tuo segnale, capivo da dove iniziare per servirti e farti godere.

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