A te che sei speciale

  
Dove sei, che ti cerco e a volte sparisci, che non capisco se stai dormendo o ti sei messo a usare le mani. Tu che le mani le sai usare quanto il cervello, ed io amo sia le mani quando le usi, le abusi su di me in ginocchio, e io distesa sul letto con le gambe appoggiate sulle tue spalle, sia quel gran pezzo del tuo cervello che lavora, lavora e fa psicologia spiccia, che incrocia i ruoli, mette insieme le teste e i cuori.

Ma io ti perdono tutto, anche quando sparisci. Anzi, soprattutto quando sparisci e mi cerchi e mi dici che vuoi ucciderli tutti, anche quelli che non esistono e hanno vita solo nella posta del cuore.

Siamo due adolescenti, ci scambiamo la musica, gli eBook, le figu XXX, le parole, le opere, le omissioni, i viaggi per correre e rifugiarci in un letto che non è il nostro, ma lo diventa subito, subito.

Siamo due adulti, che giochiamo a fare i bambini, nel gioco più bello e istintivo, il gioco dei ruoli, il muratore, la padrona, la cagna, il porco, gli schiavi.

Che piano, piano, piano mi racconti di te, della famiglia tutta, dei drammi, dei pranzi, dei pizzi, dei piatti, dei dialetti, del rumore del mare.

Che con cura ti inventi le abilità che fanno presa, che funzionano su di me e con inaudita non curanza, me le snoccioli tipo sassolini bianchi nel bosco, pezzetti di pane raffermo seminati, affinché io possa scovarli, metterli in tasca e cercare il prossimo treno per riportarteli in mano.

Che alterni parole cristalline, amorose, sorprendenti, di quelle che si sognano e non si ammette mai di desiderare, a ordini secchi, perentori, imbarazzanti, umilianti.

A te che sei così speciale, che mi ritrovo rimbambita a scrivere parole d’amore, mentre sogno che mi pisci in bocca. Oibò.

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