La collega

 
Sei entrata nel mio ufficio, ti guardo da almeno un anno. Da quando ti ho regalato le lanterne cinesi, da incendiare e far volare nel cielo scuro della notte, durante la festa di compleanno che avevi organizzato a sorpresa per tuo marito. La stessa persona che tra una settimana sarà il tuo ex, legalmente parlando.

Che poi le lanterne erano un regalo, anche per me. Non mi hai quasi ringraziato, ma io già un po’ ti amavo o forse avevo solo voglia di infilare la lingua nei tuoi tre buchi. Niente miele e cazzate simili, l’ambrosia, il buchino, la fessura, la rosa, la gattina che profuma di pesca, il bottoncino che sa di fiori sbocciati in primavera.

No, mi spiace. Pane al pane, le parole hanno un significato e a me piacciono quelle forti, quelle che ti travolgono, che ti schiacciano per terra, inesorabili. Come quando lui mi sculaccia forte con la cinta di pelle.

Mi piacevi per motivi futili, sensazioni a pelle. I tuoi capelli rosso fuoco tagliati corti asimmetrici, i pearcing, i tatuaggi, il tuo culo importante. Ah, il pearcing alla lingua, quello me lo gusto, è una fantasia ricorrente che cerco, che cerco.

Dicevo, sei entrata nel mio ufficio ed io non resistevo. Guardavo il tuo trucco pesante e avrei passato il braccio sulla mia scrivania con forza, con decisione per spazzare via gli inutili fogli, fascicoli, penne, matite, mouse e temperini e fare spazio al tuo culo importante.

Ma hai fatto tutto tu, ti sei avvicinata, naso a tre centimetri di distanza e mi hai chiesto: un aperitivo insieme una di queste sere? Ed io ero già fradicia. Ero già lì a pensare a cosa mettermi addosso, sexi e al tempo stesso abbastanza pratico da strappare via.

Sei così diversa da me, eppure gli opposti si attraggono e quando eravamo seduti una di fronte all’altra a bere il terzo mojito avrei voluto baciarti, come una quindicenne il primo giorno di scuola. Con la sfrontatezza e l’inesperienza di una che vuole fare, ma non sa da che parte iniziare. Che ha uno in chat che le dice cosa fare, ma non lo ascolta perché si fida di se stessa. È ora sono qui che ti aspetto, perché tu mi fai sempre aspettare per ore, io sono una precisa, non sgarro di un minuto, mentre tu, solo tu, mi fai attendere le ore nel parcheggio, come un maschio al primo appuntamento. Lo faccio io il maschio dominante? Va bene, basta che mi fai affondare le labbra. Solo quello voglio, solo quello.

No, il maschio dominante sei tu, più dominante di me dominante. E io ti seguo mentre mi dici che il reggiseno non mi valorizza e me ne serve un altro. Ok, sceglilo tu per me. Entriamo in negozio, mano nella mano e tu istruisci la commessa e io sto muta. Lei sceglie per me. Voglio un reggiseno che gliele spinga su, che mi venga voglia di mungergliele per mesi.

E giriamo, giriamo, ne provo mille e alla fine tu dici si e io pago e lo compro. Poi tocca a te, scegliamo le autoreggenti perché alle quattro vai a scopare nel motel con nickname e io, io torno alla vita. 

Ci vediamo lunedì, in ufficio.

29 pensieri su “La collega

  1. Demonio

    Anche io sono per chiamare le cose coi nomi forti e, soprattutto nei racconti porno/erotico trovo spesso ridicoli l’uso di c’eri eufemismi! A parte ciò se è una storia vera mi incuriosisce sapere come va a finire! 😈

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