22 ore

Con gli occhi a mezzo centimetro di distanza, allento la cinta, libero il bottone, abbasso lo zip, afferro il tuo cazzo e lo prendo in bocca, senza ritegno.

Non ce la faccio ad aspettare. Abbiamo atteso fin troppo. Troppe seghe al telefono, ditalini in videochat. Consumismo e spreco inutile di parole, polpastrelli, fumo, oggettistica per adulti, Made in China. Non ci siamo quasi salutati, ma lo so il tuo nome, almeno questo si, credo.

Protesa verso di te, sforzandomi di tenerlo in bocca e fissarti negli occhi senza riuscirci troppo. Finalmente ti vedo dal vivo, giuro che gli occhi non li stacco manco per pisciare, in queste 22 ore a disposizione.

Uso la lingua, su tutta la lunghezza, la punta, la bocca che stringe, avvolge, ingloba, la saliva che accarezza, lubrifica, lucida, la tua mano che accompagna, spinge, comanda la mia testa, l’altra che accoglie i coglioni. Ah, i coglioni!

E continuo imperterrita. Non mi voglio staccare neanche quando mi sei sborrato in gola. Non me ne frega un cazzo che sei venuto. Continuo, continuo, voglio che si accorci, si riduca, si ridimensioni, sempre in bocca. Voglio che tu mi spinga via la testa perché non ne puoi più. E mi dica, cazzo, basta, possiamo fare la cena, una passeggiata lungo il fiume, vedere un film (porno) mano nella mano, nel letto?

I passanti indolenti non proferiscono parola. Eppure i movimenti sono inequivocabili. Forse sono abituati, forse sono contenti, molto contenti.

Fine della corsa, siamo arrivati. Ricomponiti, ragazzo, ancora 21 ore per noi.

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