Il braccialetto

L’avevi comprato chissà dove in vacanza. Il tipico braccialetto da quattro soldi da tenere sul polso abbronzato. Non l’avevo neanche notato, o forse si, con la coda dell’occhio. Erano più grossi fili intrecciati, quasi delle corde. Bianco e nero. Davvero orrendo. Era anche un po’ sporco, secondo me. Almeno il bianco era davvero zozzo, il nero non si capiva. Era piatto, perché nella mia testa doveva essere così, avendolo solo notato quando mi mandavi le seghe via mail. Del resto a parte il tuo cazzo che sborrava si vedeva poco o niente. Poi c’era il braccialetto che era un bel segno di riconoscimento, dopo tutto.

Quell’oggetto insignificante ha preso forma e tridimensionalità quando mi stavi dietro. Io mani contro il muro, tipo perquisizione polizzotto americano nei telefilm porno soft, come il mitico e inutile Banshee.

Tu che mi respiri la nuca e mi schiacci per infilarlo da dietro. Che appoggi le mani al muro e io noto subito che i tuoi polsi sono liberi. Sento il cerchio di corda sudicia tra le cosce. Te lo sei messo tipo anello, una boa che fa attrito e mi fa godere. Spingilo con forza dentro. Lo sento, mi sfrega, mi entra, mi esce, mi stringe, mi spinge, mi apre, mi chiude, mi sporca e tu sborri e io vengo.

Dammelo in bocca quel cazzo di braccialetto schifoso che mi piace da pazzi.

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