London calling

  
Erano i tempi in cui lavorare era un optional. 

Ero partita con tre amiche per Londra. Senza casa, senza soldi, senza lavoro, senza cellulare perché non esisteva. La sfida era sopravvivere per un mese e mezzo. Ricordo che andammo all’ufficio di collocamento e mentre tutte trovarono un lavoro serale io ne presi uno che durava giusto la mattina, per non consumarmi troppo. E soprattutto per andare all’Hippodrome la sera. 

Iniziai in una stazione di polizia. Ero l’unica bianca e non capivo un’acca. La cosa peggiore era dover stare in piedi tutto il tempo, soprattutto per una che non aveva mai lavorato in vita sua e che giocava a fare la barbona.

Dormivamo tutte e quattro in un unico stanzone, un letto matrimoniale e un letto a castello. Per far contente tutte, a ruota, ogni notte dormivamo in un posto diverso.

Di queste mie amiche ce n’era una molto cattolica. Tanto cattolica. Andava a messa tutte le domeniche e si vociferava che fosse addirittura vergine.

A metà della vacanza (vacanza?) venne a trovarmi un caro amico. Il quale candidamente dormiva con me, nella stessa stanza delle altre. Insomma eravamo in 5 in 3×3 metri.

Ricordo che si fermò una settimana e la passammo a scopare come ricci, infastidendo non poco le amiche, soprattutto quella cattolica, che penso mi odiasse o forse avrebbe voluto unirsi a noi. Sfiga vuole che ci sorprese almeno 5 o 6 volte, come dire sul più bello. Quel pomeriggio che eravamo in vasca da bagno, la notte, nel silenzio della camera condivisa, in cucina, per strada, davanti al portone.

Alla fine della settimana ripartì, col sospiro di sollievo di tutte, lasciandomi tutti i pound avanzati, cosicché smisi di lavorare e inizia a godermi Londra come turista.

Anni dopo andai sempre con lui a New York. Dormivamo in convento, ma questa è davvero un’altra storia.

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