E il gioco inizia. Perché tu mi rispondi. L’amo ha funzionato e inevitabilmente il mio ego cresce e una bella pacca sulla mia spalla bianca ci sta tutta. Mi piaci, non so neanche perché, ma è così che funziona. Dicono che sia questione di pelle, sesto senso, ma è una grande cazzata. Però ci piglio. Oppure sono fortunata. Teste di cazzo non è ho mai incontrate. Ancora. Credo che basti ascoltare. Alla base di tutto c’è il rispetto (formale), l’intelligenza e il consenso, sempre e comunque.
E il gioco inizia. Però davvero di te non mi frega nulla. Non mi interessa il tuo nome, che lavoro fai, dove abiti, se sei sposato, se sai cucinare, se sei grasso (questo un po’ si, a dire il vero, ma estremizziamo), se sei alto, bianco, nero o rosso. Non voglio il tuo numero di telefono. Non mi frega neppure sapere se sei un uomo o una donna o il terzo sesso.
Cristo, voglio una sorpresa, io che le sorprese le odio. Sempre. Voglio solo due cose e te le dico subito, diretta come una freccia che ci trafigge, perché io sono così, le sfumature di grigio mi uccidono, o bianco o nero.
Voglio sapere se sei animale come me, se hai i miei stessi desideri, anzi se ne hai altri, che non mi sono mai venuti in mente. Ho fame dei tuoi tabù, delle tue ossessioni, delle tue manie, se sei una tigre in gabbia, famelic@ e hai la bava che ti cola sul ventre.
E poi voglio una data, un indirizzo e un numero di camera. Nient’altro solo queste informazioni mi bastano, per poterti raggiungere e tu farai lo stesso.
E il gioco inizia. E no, non ci aspettiamo all’autogrill, al bar, in stazione o per strada. Neanche nella hall, cazzo, no. Ci vediamo in camera, a luci spente.
Voglio entrare nella stanza e voglio sentire il tuo respiro eccitato, impaurito, fradicio. Voglio brancolare nel buio, cercarti con le braccia tese. Sfiorarti, toccarti, palparti. Intuire il tuo sesso, le tue fattezze. Sentire il desiderio palpabile in queste quattro mura squallide di motel gestito da cinesi.
Voglio annusarti e dall’odore capire che di che razza sei. E devi essere talmente eccitat@ che ci prendiamo così, vestiti, nella foga del momento, al buio. Come un gioco di improvvisazione teatrale. Ti palperei per capire se hai l’uccello, oppure la fica. E mi muoverei di conseguenza, affondando comunque la bocca, la lingua, le labbra, i denti.
Vorrei stare ore, non so se vorrei parlarti, forse si, ma di quello che stiamo facendo, solo a beneficio delle nostre zozze azioni.
E poi non vorrei salutarti, ti prego, non cadere nel romanticismo proprio ora. Neppure ciao. Non ho il tuo numero, non hai il mio. L’epilogo migliore è quello di non vedersi più.
Estremizzazione dell’assurdo. Una botta e via con lo sconosciuto. Tanto intrigante quanto impossibile, n’est pas?
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Qui ci voleva il tasto con la stella a metà nel senso che mi piace ma allo stesso tempo no!Insomma mi piace a metà!
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E’ anche una mia fantasia. Magari alla fine ci si scambia il nome. Ma proprio come ultima cosa 🙂
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Ora il numero ce l’hai….
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